L’agricoltura biologica e l’agricoltura biodinamica
L’agricoltura biologica e biodinamica potrebbe rappresentare la chiave di volta in Sicilia per l’ambiente, la salute e l’economia. L’Italia è uno dei Paesi con più ettari di superficie agricola biologica.
L’agricoltura biologica è un modo di produzione che non utilizza prodotti chimici. Per eliminare i parassiti, invece di ricorrere ai pesticidi, vengono usati altri insetti o batteri antagonisti e si privilegiano le tecniche tradizionali come la fertilizzazione organica o le rotazioni colturali che consentono di arricchire il terreno.
L’agricoltura biodinamica è un metodo che alcuni ritengono ancora più in sintonia rispetto alla natura di quello biologica, anche se ne sposa alcuni principi – come il divieto di utilizzo di fertilizzanti e pesticidi di origine chimica – pur differenziandosi per l’uso di preparati particolari a base di erbe e minerali, irrorati sulle piante, e perché segue i cicli lunari sia per la semina che per i lavori nei campi.
Lo studio “Human exposure to pesticides from food” del 2015, condotto dal Swedish Environmental Research Institute, ha dimostrato che l’alimentazione proveniente da agricoltura biologica e biodinamica riduce del 90% la percentuale di pesticidi nel corpo dopo solo una settimana. Ma non solo: è dimostrato che gli appezzamenti biodinamici confrontati per 21 anni con i campi “tradizionali” diventano naturalmente più fertili e resistenti ai cambiamenti climatici. La diffusione di prodotti agricoli di maggiore qualità nell’interesse dei cittadini ha spinto l’Unione Europea nell’aprile del 2017 a elaborare un nuovo sistema di certificazione elettronica per monitorare in maniera più efficace le importazioni di prodotti biologici. Questo sistema di certificazione elettronica contribuirà a rafforzare la sicurezza alimentare e a ridurre potenziali frodi oltre a ridurre gli oneri amministrativi per gli operatori e le autorità e fornire dati statistici molto più completi sulle importazioni di prodotti biologici. Ed infatti, dopo un iniziale periodo di prova della durata di sei mesi, dal prossimo 19 ottobre 2017, le importazioni di prodotti biologici avverranno solo in presenza di certificazione elettronica. Questo nuovo sistema dal nome TRACES, faciliterà il commercio consentendo ai partner commerciali e alle autorità competenti di ottenere facilmente le informazioni sui movimenti delle loro spedizioni e di accelerare le procedure amministrative.
La “nuova agricoltura” ha l’enorme vantaggio di ridurre i rischi idro-geologici[1] ed è anche un rimedio efficace contro la siccità perché permette ai terreni di trattenere più acqua. Anche il CNR ha confermato l’effetto positivo dell’agricoltura biologica sulla salvaguardia dei suoli dalla desertificazione, sulla siccità, oltre che sulla salute.
[1] La promozione dell’agricoltura sostenibile è uno degli strumenti per ridurre la pericolosità geomorfologica in Sicilia. L’attuale strumento vigente in termini di pianificazione territoriale e vincoli all’uso del suolo è il PAI (Piano di Assetto Idrogeologico), adottato nella sua prima forma completa nel 2004 dalla Regione Sicilia, realizzato dal servizio 3 dell’ARTA. La metodologia adottata è semplificata e non consente di stimare la pericolosità geomorfologica al di fuori delle aree sede dei fenomeni pregressi. Questa circostanza si traduce negli episodi di mancata previsione di alcuni fenomeni, semplicemente a causa di un buco informativo nell’inventario censito. Il DISTEM (Dipartimento di Scienze della terra e del Mare) dell’Università di Palermo ha messo a punto un progetto chiamato SUFRA (Suscettibilità da Frana) e tramite un finanziamento di 15.000 euro erogato dall’ARTA, nel 2014 è stato realizzato un progetto pilota nel bacino del Fiume Imera Settentrionale (esteso circa 350 kmq), che ha portato alla realizzazione di una cartografia automatizzata in ambiente GIS della suscettibilità da frana delle diverse aree del bacino (che è uno dei più franosi della Sicilia ed è attraversato dalla autostrada PA-CT). Il prodotto è stato validato dall’ARTA che ha espresso il massimo apprezzamento. Nel 2015 il progetto è stato presentato dall’Unipa per essere applicato a tutta la Regione ma non è stato dato alcun riscontro. Potrebbe essere uno strumento da utilizzare per limitare, in maniera complementare alla promozione dell’agricoltura sostenibile, i rischi idro-geologici, anche perché, secondo il DISTEM dell’Unipa il costo dell’intera operazione sarebbe notevolmente inferiore ai costi degli interventi di sistemazione di una sola delle numerosissime frane che esistono in Sicilia e consentirebbe di avere uno strumento di pianificazione territoriale per orientare le scelte future.[2]
Uno studio molto interessante relativo all’agricoltura biologica è estratto dal seguente documento: BioPag___risultati_preliminari_2016.pdf, studio condotto dalla FAO in collaborazione con il FIBL (Schader et al., 2013) che mostra come, a fronte della prevista crescita della popolazione al 2050 e stante l’attuale trend di crescita del consumo di carne, latte e uova, la conversione degli allevamenti alla zootecnia biologica richiederebbe un aumento di 334 milioni di ettari di superficie coltivabile, qualora gli animali venissero ancora alimentati con mangimi concentrati a elevato contenuto proteico, fortemente intensivi in input energetici e molto impattanti sull’ambiente in termini di rilascio di azoto e fosforo e di emissione di gas a effetto serra.
Tuttavia, riducendo il consumo dei prodotti di origine animale fino a un terzo o a un quarto del consumo medio riferito al cinquennio 2005-2009, accanto al solo utilizzo, per l’alimentazione degli animali, dei pascoli esistenti e dei sottoprodotti dei processi produttivi agricoli e di trasformazione, l’ampliamento della superficie agricola non sarebbe necessario e l’agricoltura biologica potrebbe rispondere alla crescente domanda alimentare mondiale (Schader et al., 2013).
Risultati coerenti con quelli scaturiti dalla collaborazione tra FAO e FIBL sono stati ottenuti da Erb et al. (2016) nel loro studio diretto a verificare se fosse possibile nutrire il pianeta senza procedere a ulteriori deforestazioni per aumentare la superficie coltivabile. Ponendo a confronto 500 differenti scenari, combinazione delle possibili rese future e dimensioni della superficie agricola e delle varie tipologie di dieta umana e alimentazione animale, infatti, l’agricoltura biologica, caratterizzata da rese mediamente più basse da quelle ottenute con altri metodi produttivi, è fattibile o probabilmente fattibile al 2050 nel 39% dei casi. Tuttavia tali casi non sono mai compatibili con una prevalente dieta ricca in prodotti di origine animale quale quella del Nord-America nel 2000, e non necessitano da un aumento della superficie coltivabile solo nel caso di dieta vegana. Nei restanti casi, invece, l’aumento della superficie coltivabile necessario a scapito dei pascoli ad elevata efficienza, dipende dall’utilizzo o meno di mangimi concentrati e dalla percentuale di prodotti di origine animale nella dieta umana.
Rispetto allo studio di FAO-FIBL, quindi, in questo caso, per evitare una crescita della superficie coltivabile, si tratterebbe di eliminare completamente i prodotti di origine animale dalla dieta e non di ridurli sensibilmente.
Erb K.-H., Lauk C., Kastner T., Mayer A., Theurl M.C., Haberl H. (2016), Exploring the biophysical option space for feeding the world without deforestation, Nature Communications, 19 Apr 2016, DOI: 10.1038/ncomms11382.
Schader C., Muller A., Scialabba N. El-H. (2013), Sustainability and organic livestock modelling (sol-m), Impacts of a global upscaling of low-input and organic livestock production Preliminary Results, FAO, Natural Resources Management and Environment Department, Aprile 2013.
Le Regioni in cui sono presenti il maggior numero di operatori biologici sono la Sicilia[2] (9.660), la Calabria (8.787), la Puglia (6.599). In queste Regioni si concentra oltre il 45% del totale degli operatori italiani. Anche la maggiore estensione di superfici biologiche si trova in queste tre regioni: rispettivamente con 303.066 ettari in Sicilia, 176.998 ettari in Puglia e 160.164 ettari in Calabria. La superficie biologica di queste tre Regioni rappresenta il 46% della superficie biologica nazionale.
La Sicilia è tra le regioni più biologiche d’Europa, ciononostante l’apparato burocratico non è ancora in grado di gestire in maniera efficiente le risorse economiche che vengono stanziate dell’UE. Si pensi al Bando ”Biologico 2013”, oggetto di un serio contenzioso in sede amministrativa che rischia/ha rischiato di far restituire alle aziende quanto ottenuto in questi anni e determinare un grave danno erariale alle casse della Regione.
Fonte: Rapporto SINAB (Sistema di informazione nazionale sull’agricoltura biologica) BIO IN CIFRE 2015.
La Sicilia esporta buona parte dei propri prodotti agricoli biologici. Per quanto riguarda le importazioni, all’interno dell’importazione in Italia di prodotti stranieri occorre porre particolare attenzione all’importazione di prodotti biologici da Paesi terzi. A tal riguardo, il rapporto SINAB (Sistema di Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica) del 2015 sottolinea che dall’analisi dei dati sulle importazioni di prodotto biologico proveniente da Paesi terzi, nel 2014 si evidenzia un sostanziale incremento delle quantità̀ totali, pari a circa il 47,30% rispetto al 2013. A incidere fortemente su tale andamento positivo è soprattutto il settore dei cereali (prevalentemente frumento duro), con un aumento rispetto al 2013 del 545,68%. Le altre categorie di prodotto che mostrano variazioni positive rispetto al 2013 sono gli estratti naturali/spezie (+ 176,64%), gli ortaggi (+ 42,74), la frutta (+ 34,16%) e i prodotti trasformati (+ 7,54%).
Le colture industriali mostrano invece una netta flessione dei volumi importati con una diminuzione rispetto al 2013 del 62,79%, a causa di una forte diminuzione dell’import principalmente legata al brusco calo degli approvvigionamenti di soia e panello di soia provenienti da Cina e India.
Fonte: Rapporto SINAB (Sistema di informazione nazionale sull’agricoltura biologica)
Per quanto riguarda i mercati di approvvigionamento la situazione complessiva del 2014 vede una forte preminenza delle forniture provenienti da Paesi dell’Europa non UE (36,10% in volume), in crescita del 303% rispetto al 2013. Nell’ambito di questi Paesi la situazione risulta molto diversificata, con un ruolo particolarmente significativo della Turchia per quanto riguarda il settore cerealicolo. Relativamente alla frutta, nonostante una lieve flessione delle importazioni dai Paesi Balcanici, il mercato dell’Europa non UE risulta essere ancora molto importante per l’import italiano. Del totale di frutta fresca e secca importata in Italia oltre il 15% proviene da Paesi dell’Europa non UE (principalmente Turchia, Albania e Serbia), con un aumento rispetto al 2013 del 28,47%.
Asia e America latina continuano a essere aree geografiche molto importanti per l’import biologico italiano: complessivamente, nel 2014 da queste due aree geografiche, sono stati importati rispettivamente il 23,84% e il 24,22% dei volumi totali. Rispetto alla tipologia di prodotti, tuttavia, va evidenziato che dai Paesi asiatici (principalmente India, Pakistan, Tailandia e Cina) vengono importati prevalentemente cereali (riso e altri cereali minori), legumi (fagioli e lenticchie) e panello di soia, mentre dai Paesi dell’America latina vengono importati soprattutto frutta fresca (specialmente banane, kiwi e pere) e prodotti trasformati (zucchero di canna e caffè).
Fonte: Rapporto SINAB (Sistema di informazione nazionale sull’agricoltura biologica) BIO IN CIFRE 2015
Secondo i dati pubblicati dal Rapporto della Banca d’Italia del giugno 2016, la Sicilia si caratterizza per una maggiore propensione alla coltivazione con metodi biologici rispetto alla media nazionale. Sulla base dei dati Istat, nel 2014 erano presenti 29 produzioni DOP e IGP (267 in Italia), concentrate soprattutto nel settore “ortofrutticoli e cereali” (15 marchi); i 2.720 produttori certificati rappresentavano il 3,6% del totale italiano. In Sicilia si producono 31 vini di qualità, di cui 24 con denominazione di origine (DOC, DOCG) e 7 con indicazione geografica (IGT), complessivamente pari al 5,9% del totale nazionale.
I vantaggi dell’agricoltura biologica sono anche economici. Infatti, secondo l’AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica), l’Italia è il maggior paese esportatore di biologico nel mondo con circa 1 miliardo e 300 milioni di fatturato, soprattutto in direzione del Giappone, degli Usa e della Scandinavia.
Dall’ultimo Bioreport elaborato dal CREA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria, ente italiano di ricerca controllato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) emerge che non solo il biologico è meno inquinante e più sano, ma anche più redditizio per i produttori, rispetto all’agricoltura convenzionale. Il Bioreport elaborato dal CREA, infatti, ha analizzato il biennio 2014-2015, e segna le migliori performances economiche delle aziende biologiche rispetto a quelle convenzionali: +32% è il reddito netto dell’imprenditore agricolo biologico e della sua famiglia (due punti percentuali in più rispetto all’anno precedente), +15% il fatturato lordo aziendale (contro il 10% dell’anno precedente) con una maggiore offerta occupazionale: 31% in più di lavoratori impiegati rispetto alle convenzionali (la rilevazione precedente questo dato si attestava tra il 10 e il 20%), sulla base delle elaborazioni FIRAB (Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica).
Nelle aziende biologiche risultano mediamente superiori sia il valore della produzione lorda (€ 110.113 a fronte di € 95.796 delle aziende convenzionali), sia il valore aggiunto (€ 72.564 a fronte di € 57.916 delle aziende convenzionali), sia il reddito netto (€ 48.506 a fronte di € 36.741 delle aziende convenzionali). Quest’ultimo rappresenta la quota di PLV (Produzione Lorda Variabile), che rimane a disposizione dell’imprenditore e dei suoi familiari una volta sottratti i costi fissi sostenuti per le attività aziendali[1]. A titolo di esempio, si possono analizzare i risultati economici della produzione dell’arancio.
[1] Il Bioreport elaborato dal Crea, infatti, che ha analizzato il biennio 2014-2015, segna le migliori performances economiche delle aziende biologiche rispetto a quelle convenzionali: +32% è il reddito netto dell’imprenditore agricolo biologico e della sua famiglia (due punti percentuali in più rispetto all’anno precedente), +15% il fatturato lordo aziendale (contro il 10% dell’anno precedente) con una maggiore offerta occupazionale, 31% in più di lavoratori impiegati rispetto alle convenzionali (la rilevazione precedente questo dato si attestava tra il 10 e il 20%), sulla base delle elaborazioni Firab. Performance che confermano il successo di vendite dei prodotti bio:+20% nel 2015 (l’anno precedente è stato del 12,6%). Cosi nelle aziende biologiche risultano mediamente superiori sia il valore della produzione lorda (110.113 euro a fronte 95.796 delle convenzionali), sia il valore aggiunto (72.564 euro a fronte di 57.916 euro), sia il reddito netto (48.506 euro contro i 36.741 euro nelle convenzionali), quest’ultimo rappresenta la quota di PLV (Produzione Lorda Variabile, cioè il fatturato lordo) che rimane a disposizione dell’imprenditore e dei suoi familiari una volta sottratti i costi fissi sostenuti per le attività aziendali.
I risultati testimoniano anche una maggiore propensione delle aziende biologiche alla multifunzionalità: nelle aziende bio, infatti, le attività connesse (agriturismo, agricoltura sociale, fattorie didattiche, ecc.) registrano un’incidenza rispetto alla PLV lievemente maggiore che nelle convenzionali (4,3% e 2,5%, rispettivamente).
Relativamente alle voci di spesa, nelle aziende biologiche si rileva una minore incidenza dei costi correnti sulla PLV (mezzi tecnici, servizi prestati da terzi e altre spese dirette): 34%, contro 39% nelle convenzionali. Grazie al contenimento di questa voce di spesa, le aziende biologiche risultano più efficienti in termini di valore aggiunto sulla PLV (66%, a fronte del 50% nelle convenzionali) e in termini di reddito netto (44% e 38% rispettivamente). Al contrario, il più elevato impiego di manodopera richiesto dalle tecniche di produzione biologica determina un maggiore costo del lavoro, (18% sulla PLV, a fronte del 14% nelle convenzionali).
A sostenere i consumi c’è il fatto che l’agricoltura italiana è diventata la più green d’Europa con il maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario per prodotti a denominazione di origine Dop / Igp che salvaguardano tradizione e biodiversità; la leadership nel numero di imprese che coltivano biologico[1]; la più vasta rete di aziende agricole e mercati di vendita a Km 0; la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma; la decisione di non coltivare organismi geneticamente modificati come avviene in 23 Paesi sui 28 dell’Unione Europea.
[1] Sul territorio nazionale c’è il maggior numero di agricoltori biologici a livello europeo secondo un’analisi Coldiretti su dati Sinab, il nostro Paese conta 49.070 imprese biologiche, in aumento del 12% rispetto all’anno precedente, con la superficie coltivata superiore al milione di ettari. Le aziende bio italiane sono il 17% di quelle europee, al secondo posto la Spagna (30.462 imprese, 12% dell’Ue) e la Polonia (25.944, 10% di quelle europee).
Con particolare riferimento all’Italia, le stime ISMEA indicano che il mercato domestico (off-trade) dei prodotti biologici in Italia ha espresso, nel 2014, un valore al consumo superiore ai 2,1 miliardi di euro. La stima non include il giro d’affari legato al canale extra-domestico (on-trade), riconducibile alle vendite da parte della ristorazione, dei bar e del food service. La Distribuzione moderna (ipermercati, supermercati, discount, libero servizio) e i negozi specializzati, tra piccole, medie e grandi superfici, muovono complessivamente oltre il 75% del giro d’affari di questo segmento.
Quanto vale invece l’agricoltura biodinamica?
I dati indicano una fatturazione di 445 milioni di euro solo con i prodotti certificati a marchio Demeter[1], il logo storico dell’agricoltura biodinamica diffuso in oltre 40 Paesi. L’intero comparto del biologico vale 3,6 miliardi di euro, dà lavoro a 55mila persone e occupa più dell’11% delle terre coltivate in Italia.
Ma questi numeri offrono un quadro parziale della situazione perché non tengono conto dell’indotto. Secondo la Coldiretti[2], l’acquisto di cibo “è diventato sempre più l’espressione di uno stile di vita con il 40,7% degli italiani che considera i prodotti a Km 0 una garanzia di cibi freschi e sicuri in cucina e il 38,9% che li ritiene essere anche una soluzione per sostenere l’economia e lo sviluppo locale”. Anche il costo, magari maggiore, non preoccupa: sono 36,3 milioni gli italiani maggiorenni che sarebbero disposti a pagare di più per un prodotto italiano rispetto ad uno di provenienza straniera. E ancora, 21,8 milioni pagherebbero fino al 10% di più, 9,5 milioni tra il 10% e il 20% in più, 4,9 milioni oltre il 20% in più.
I giovani sono in prima fila: perché quasi la metà (48,9%) dei cosiddetti Millennials pensa che il patrimonio enogastronomico incarna l’identità di un territorio e di una comunità, molto più di quello culturale, storico artistico. Per la Coldiretti, lo dimostra il crescente numero di chef e cuochi prestigiosi che scelgono accuratamente gli ingredienti dei menù offerti valorizzando le produzioni locali ma anche il boom dei cosiddetti agrichef che utilizzano solo materie prime del territorio.
[1] http://www.assparcosud.org/14-istituzioni/2016-l-agricoltura-biodinamica-cura-omeopatica-dei-campi-%C3%A8-entrata-anche-nel-parco-sud.html
[2] http://giovanimpresa.coldiretti.it/pubblicazioni/attualita/pub/cibo-made-in-italy-quarantatré-milioni-di-italiani-fanno-la-spesa-a-km-0/
Riferimenti normativi:
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Piano d’azione di agricoltura per la Danimarca Økologiplan Danmark. Piano agricolo che intende determinare una produzione 100% biologica. Il governo danese sta lavorando su due fronti diversi: uno è dare un impulso per trasformare terreni agricoli tradizionali in terreni a coltivazione biologica, mentre l’altro è quello di stimolare una maggiore domanda di questi prodotti. Per quanto riguarda il primo punto, l’obiettivo è quello di raddoppiare la superficie agricola coltivata con metodo biologico entro il 2020. Non solo il terreno di proprietà del governo potrà essere coltivato con metodi biologici e biodinamici, ma il governo stesso sosterrà e finanzierà coloro che vorranno lavorare e investire in questo settore, per sviluppare nuove tecnologie e idee che aiutino a promuovere la crescita. Il programma non si riferisce solo a frutta e verdura, ma anche all’allevamento degli animali. Il secondo fronte è la promozione dei prodotti biologici. Il cambiamento verrà guidato dalle autorità pubbliche come il Ministero, le regioni e le città: il primo obiettivo biologico è il 60% del cibo servito al pubblico. Le scuole – a partire dalle scuole materne – così come gli ospedali e le mense non privatizzate dovranno rispettarlo. Nonostante sia un progetto imposto quasi con forza dal Ministero dell’alimentazione, dell’agricoltura e della pesca, altri reparti si sono allineati con entusiasmo: il Dipartimento della Difesa ha detto che si muoverà per regolare i 1,1 milioni di chilogrammi di cibo ogni anno servito a basi e nelle altre mense correlate (anche se nella parte occidentale del paese, il 40% del cibo che i militari mangia è già organico). Il Ministero dell’Ambiente si è impegnato a trasformare molte delle aree che gestisce in agricoltura biologica. Il Ministero della Pubblica Istruzione farà decisamente la sua parte, e agirà soprattutto nelle scuole, ma anche affrontando le istituzioni agricole e associazioni di agricoltori professionali.
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D.L. n …/2014 “Introduzione di prodotti biologici e dell’opzione vegetariana e vegana nella ristorazione collettiva pubblica” presentato da i deputati M5S, prima firmataria, l’On. Zafarana.
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http://www.impresaeuropa.it/2017/04/18/ue-da-oggi-un-nuovo-sistema-di-certificazione-per-limportazione-di-prodotti-biologici/